Da alcuni giorni sto pensando al fatto di mettere su carta ciò che vado riflettendo. Si è vero stiamo vivendo e vivremo un tempo di Quaresima assai particolare e una settimana santa ed una Pasqua altrettanto singolare, “altra” e diversa, ma penso che il Signore - per noi che crediamo ed abbiamo una prospettiva di fede - ci stia parlando ed educando anche in questo tempo di prova, di paure, preoccupazioni, un “kairòs” di grazia e di salvezza che ci invita a non uscire fuori, ma rientrare in noi stessi, secondo l’invito sempre valido ed attuale di S. Agostino nelle sue Confessioni, a fermarci, a fare silenzio e a verificare la nostra vita di uomini, donne, cristiani, preti ed operatori pastorali, per cogliere in noi stessi la verità, l’essenza vera della nostra fede, l’essenziale che «è invisibile agli occhi», come leggiamo nel bel racconto del Piccolo principe, i valori essenziali, sempre belli e veri della nostra vita umana e cristiana.
Insomma a fare discernimento, per intravedere quale è la strada da battere dopo che questa fase - così delicata e difficile della nostra vita, ma anche dell’umanità intera, nonché, mi sembra, delle nostre Chiese cristiane - sia trascorsa o almeno rallentata e gestita in modo alquanto umano e vivibile. Mi è piaciuta molto la bella e profonda riflessione filosofico-teologica, apparsa domenica 5 aprile 2020, p. 28, sul nostro quotidiano cattolicoAvvenire (vademecum prezioso e fedele e non solo in questo tempo!) del sacerdote e teologo cattolico ceco Tomàs Halìk:«Questo è il momento di prendere il largo».Egli partendo da ciò che l’Europa aveva vissuto lo scorso anno prima di Pasqua, nelle circostanze un po’ strane dell’incendio della maestosa e solenne cattedrale di Notre-Dame a Parigi, ricollegava questo evento catastrofico al fatto che «in centinaia di migliaia di chiese di diversi continenti, nonché in sinagoghe e moschee, non si svolgono funzioni». E vedeva in questo «come se fossero un segno e una sfida provenienti da Dio».Potrebbe essere questo un appello di Dio «che è amore umile e discreto» per noi, «una sorta di monito per ciò che potrebbe accadere in un futuro non molto lontano: fra pochi anni esse potrebbero apparire così in gran parte del nostro mondo». Questo tempo - che mi appare come una “Quaresima” di verifica e di discernimento per tutti noi - ci chiede di tornare a valutare le cose belle, semplici, ma profonde della vita quotidiana: la bellezza di un’alba o di un tramonto, la limpidezza e la bontà dell’acqua che scaturisce da una sorgente, il sapore fragrante del pane fresco, l’importanza di uno sguardo e di un sorriso, la delicatezza el’impegnativa importanza di una stretta di mano o di un abbraccio, la fedeltà al nostro lavoro manuale, professionale o casalingo e così via. La nostra vita è il miglior capitale da investire non solo per noi, ma per il prossimo, per l’umanità intera, per “la vita” del mondo, per la Chiesa, comunità di fratelli e sorelle, perché - come più volte ha avuto modo di affermare papa Francesco - se non viviamo per servire non serviamo a nulla! Tanti operatori sanitari, medici, infermieri, volontari, amministratori, sacerdoti, suore, uomini e donne della nostra Italia e di vari continenti ci stanno insegnando proprio questo.
Il card. Carlo Maria Martini, parlando delle catastrofi naturali nelle sue Conversazioni notturne a Gerusalemme, così diceva: «Ho constatato più volte, tuttavia, che proprio questo male risveglia molte forze positive. I giovani si svegliano e affermano: voglio aiutare. Non è una spiegazione soddisfacente, ma intuiamo che dalla sofferenza possiamo imparare molto». La vita si spende in due prospettive o dimensioni - ci insegnava ancora il grande Agostino nella sua meravigliosa ed intramontabile Città di Dio - ripreso anche qui da Halìk, o come amore di se stessi (amor sui), «chiuso alla trascendenza», o come amore di Dio (amor sui), «l’amore che fa dono di sé e così trova Dio». È qui il cuore - a me sembra - della riflessione del sacerdote-teologo: «Questo nostro tempo di cambiamento a livello di civiltà non chiede forse una nuova teologia della storia contemporanea e una nuova visione della Chiesa?». Questo tempo ci chiede, forse, di ritornare all’essenziale della fede cristiana e della sua pratica sacramentale, rivedendo a volte o spesso il nostro banalizzare i riti e le celebrazioni, moltiplicandoli senza necessità e non programmando quella giusta razionalizzazione ed incisività pastorale?Non ci chiede di verificare la verità e la validità di diversi riti e manifestazioni religiose ed anche civiliche, forse, non parlano più alla nostra vita e alla nostra storia?
Dopo questa esperienza, così grave e dolorosa per l’umanità e per ciascuno di noi non si tratterà, forse, anche di “ripensare o rimodulare” la nostra stessa pastorale?Come mettere in atto una pastorale di prossimità, di una “Chiesa in uscita” e missionaria, dal momento che dovremo fare i conti sempre di più, anche dopo questa emergenza, con la “distanza sociale” e con tutte le precauzioni, che probabilmente saranno da tenere presenti anche in tempo di normalità? Quale spazio ed utilizzo dovremo e potremo dare ai vari social, ai media in generale, di cui ci si sta abbondantemente servendo in questo periodo? Come nella scuola e nelle università si parla di “didattica a distanza”, si potrà parlare anche di “pastorale a distanza”, senza contraddire la pastorale stessa? Come sensibilizzare e favorire sempre meglio la difesa dell’ambiente e la salvaguardia del creato? Come recuperare per noi, per la vita della Chiesa ed anche per le nuove generazioni “i tempi dello spirito e di deserto”, il valore del silenzio, della preghiera e della pratica meditativa?
Tutte domande che ci poniamo e potremmo porci per un discernimento personale e comunitario, anche all’interno ed in vista di un “cammino sinodale” della nostre Comunità, a cui siamo da un po’ di tempo richiamati anche dalla Chiesa italiana e dalle nostre Diocesi. Domande che richiedono riflessione, confronto, apertura d’animo, di mente e di cuore, visione ecclesiale e pastorale ad ampio respiro, anche in comunione e collaborazione con le altre Chiese cristiane e le altre espressioni religiose. Insomma questo tempo di silenzio e di discernimento potrà servire senz’altro a tutti e a ciascuno, perché il mondo, la società, la Chiesa possano rinasceree intraprendere con impegno, sacrificio e gioia la strada che conduce - come auspicavasanpapa Paolo VI- alla costruzione della «civiltà dell’amore!».
Giuseppe De Simone
(sacerdote e docente di Teologia patristica e Trinitaria - Istituto teologico calabro S. Pio X in Catanzaro)