La Spiritualità dell'Istituto codificata dalle Costituzioni


Vie di Dio che restano sempre da scoprire
 
Su questo tema è principio ispiratore quanto afferma S. Tommaso d'Aquino: “Prius est vita quam doctrina; vita ducit ad scientiam veritatis”.
  Non sono anzitutto le costituzioni a dar vita ad un istituto di vita consacrata; ma è l'esperienza di vita vissuta nella tensione verso l'attuazione dei consigli evangelici che fa sbocciare le costituzioni, le quali di quella tensione contenente una vocazione chiariscono gli obiettivi da perseguire, le vie da percorrere e i mezzi su cui far leva per corrispondervi.
  In questa prospettiva le Costituzioni, rispecchiano una vita che incessantemente si rinnova, sono soggette nel tempo a revisioni che sono richieste dall'ascolto della voce dello Spirito che parla alle Chiese.
  Così è avvenuto nella storia delle Costituzioni del nostro Istituto. Nell'arco di 36 anni esse hanno avuto cinque redazioni successive, che rispecchiano una sempre più approfondita chiarificazione della spiritualità degli II. SS. presbiterali, nella coerenza con gli insegnamenti della Chiesa. È la spiritualità del Decreto conciliare “Presbyterorum ordinis” nella sua radicalità.
  Il numero degli articoli è passato progressivamente, con varianti successive, dagli iniziali 29 del '53 a '64 nell'89. È stata una crescita non soltanto quantitativa, ma soprattutto qualitativa.
  Una “crescita qualitativa” alla quale si applica il giudizio espresso da P. Gemelli quando diede uno sguardo retrospettivo ai tre Istituti della Regalità da lui fondati.
  “Se io rifaccio entro di me la storia dei nostri Istituti e cerco di collegarne le vicende con un filo logico, faccio una constatazione; essi erano stati concepiti da noi, umanamente, in un modo; ma Dio, attraverso vicende varie, ci ha condotti, a nostra insaputa, a grado a grado, a realizzare un piano tutto diverso… Io constato che la mano di Dio, a nostra insaputa, ci ha guidati per le sue vie e ci sta conducendo alla realizzazione di un programma che noi non avremmo ardito concepire(1).
  La ricerca delle vie di Dio per tradurre in vita vissuta i dettami delle Costituzioni, in un tempo come il nostro di rapide mutazioni, è continuata anche dopo la morte del Padre.
Nella Assemblea del 27-28 febbraio 1973, detta di “mezzo corso”, sono maturate tre convinzioni di base.
  • La scelta dell'Istituto è un carisma, un dono dello Spirito, una vocazione.
  • Il Gruppo è un problema di vita, essenziale per la vita dell'Istituto. La vita del Gruppo è la vita dell'Istituto.
  • La nostra fraternità, nata con dimensione ascetica personale, ma non certo individuale, si è poi trovata fin dai primi anni di fronte alla crescente dimensione comunitaria, pur tenendo sempre integra la dimensione personale come fondamentale. Ma il punto è che la vocazione all'Istituto abbia da noi consapevole e fattiva risposta di vivere il più perfettamente possibile il nostro sacerdozio nella consacrazione dei voti e nella secolarità, secondo lo spirito francescano (2).
 Tutte queste dimensioni costituiscono, nel loro insieme, la spiritualità specifica dell'Istituto.
 
La spiritualità dei voti

  Qui non si parla in generale dei voti di castità, povertà e obbedienza, la cui natura è definita dal C.D.C. nei canoni 599-601. Si fa riferimento alla natura dei voti degli II. SS., e in modo particolare alle modalità con cui hanno trovato espressione i voti propri del nostro Istituto.
  Secondo una lettera a P. Gemelli del 23/12/1950 del Sac. Salvatore Canals, Segretario della Congregazione dei Religiosi (4), i voti degli II. SS. Vanno considerati voti sociali, per distinguerli sia dai voti delle Congregazioni religiose che sono voti pubblici, sia da quelli puramente privati. I “voti sociali”, come delineati da quella lettera, avevano gli effetti giuridici previsti dalla legislazione canonica sugli II. SS. E dalle Costituzioni di ogni Istituto.
  La novità della consacrazione secolare di sacerdoti che restano incardinati nella propria diocesi ha sollevato non poche difficoltà per l'accettazione della formulazione del voto di obbedienza proposta da P. Gemelli.
  Come riferisce lo stesso Padre in una sua lettera dell'11/10/1954 a P. Larra, Prefetto della Congregazione dei Religiosi, tra i primi sodali dell'Istituto le opinioni erano divergenti. Alcuni dicevano: è opportuno fare voto di obbedienza anche al vescovo. Altri obiettavano: giuridicamente non è possibile fare voto di obbedienza a due persone diverse.
  In un'altra lettera del 25/10/1956 a P. Larraona, fatto Cardinale (5), dopo aver rilevato il timore espresso da alcuni vescovi che i sacerdoti dell'Istituto vengano sottratti all'obbedienza al proprio Ordinario, il Padre soggiungeva: “Posso testimoniare che accade il contrario; questi sacerdoti sono quelli sui quali il vescovo può maggiormente contare”.
  Nelle attuali Costituzioni il problema a cui già si è accennato precedentemente viene risolto nei seguenti chiarissimi termini: “verso il vescovo l'obbedienza è un fatto di fede e comunione gerarchica;… verso i responsabili dell'Istituto l'obbedienza è un rapporto di ascetica personale, che assolutamente non può e non deve ignorare la spiritualità del presbiterio diocesano” (art.22).
  La formulazione dei vincoli morali fondamentali inerenti al voto di povertà, fatta da Padre Gemelli nelle sue prime Costituzioni (“evitare ogni spesa superflua; essere rigorosi nelle spese personali; essere larghi nella carità ai poveri”) è stata conservata anche nelle successive.
  Sono state fatte varie discussioni quanto ai modi di verifica delle spese ordinarie e straordinarie dei sodali.
  Nelle Costituzioni del 1966 si fa obbligo al Sacerdote Missionario di presentare ogni anno il suo bilancio consuntivo “sub gravi”, e gli si suggerisce, come criterio di “progresso spirituale”, di fissare con un responsabile dell'Istituto una cifra “da non superare con un atto singolo, senza autorizzazione, quando si tratti di spese personali ordinarie” (artt. 33-34). Ma già nelle Costituzioni del '72 queste clausole non entrano più.
  È la scuola del Poverello di Assisi che il Sacerdote Missionario “deve conformarsi anche effettivamente con Cristo povero e tenere libero il cuore dai beni terreni” (Cost. art.20).
  Il voto di castità è stato oggetto di approfondimenti vari, specialmente in relazione alle ampie discussioni che si ebbero nella Chiesa durante il primo decennio postconciliare.
  Il voto di apostolato è specifico degli II. SS. perché, come è detto nel Motu proprio di Pio XII del 12/03/1948 “Primo feliciter” n.6: “Tutta la vita dei membri degli II. SS., che è consacrata a Dio per la professione, della perfezione, deve tradursi in apostolato” (6) , in obbedienza ai “segni dei tempi”.
  Nelle prime Costituzioni ed ancora in quelle del '66 i sodali sono invitati a “promuovere l'Azione cattolica, le Opere pontificie e diocesane caritative e sociali, e a sostenere le Università cattoliche”.
  Nelle prime Costituzioni del '72 e dell'89 non si fa più riferimento a opere particolari. Più coerentemente, viene rispettata l'indole di un I.S., quale piccolo ma efficace fermento mescolato a tutte le classi dei cittadini, così da fermentare in Cristo tutta la massa.
  Per cui al Sacerdote Missionario si propone di esercitare “una carità pastorale attenta ai segni dei tempi”; di “compiere con fedeltà la missione ricevuta dal vescovo, anche se umile e povera”, di “alimentare la comunione ecclesiale con tutti i presbiteri”, restando “aperto verso altri gruppi o associazioni” (artt.26 – 28).
  Nelle sue iniziative di apostolato il Sacerdote Missionario trae ispirazione dalla spiritualità dell'Istituto, ma agisce sotto la sua responsabilità personale, senza coinvolgere quella dell'Istituto.
  Ma, “ho l'impressione – ha detto don Angelo a La Verna nella sua relazione all'Assemblea generale del 1976 – che i veri voti sono ancora da scoprire. Allora diremo di averli scoperti quando ne avremo sentito il morso, perché veramente nella crocifissione comincia la risurrezione. La povertà cristiana è sempre una virtù del prete vero, un tutt'uno con la sua verginità. Non accettiamo ammodernamenti e affettivismi, anche perché il pungiglione della povertà e dell'obbedienza è un cardine storico, originale e irrinunciabile, della genuina spiritualità francescana, tanto che il suo felice e sempre simpatico apostolato nel mondo cammina col passo della sua povertà vera e della sua obbedienza mite e gioiosa” (7)


Spiritualità della secolarità

  Consacrare a Dio il mondo, cioè quei beni di cui Dio è autore con la creazione e di cui Cristo è Redentore per liberarli dal contagio dissacratore e devastatore del peccato, è l'obiettivo specifico degli II. SS. Di qui nasce la spiritualità della secolarità (principi teologici), che si realizza nella consacrazione secolare (atto esistenziale).
  La spiritualità della secolarità non è di facile comprensione, ma è di necessaria assunzione per l'esercizio della missione sacerdotale che è missione redentrice nel Verbo fatto carne.
  Nel capitolo che segue è presentata una sintesi storico-teologica di questo problema, in quanto ha coinvolto il nostro istituto nella sua identità.
  Si tratta di un problema di rapporti degli uomini e tra gli uomini con il mondo in cui si vive, e che per la sua soluzione pastorale fa appello alla ascetica delle virtù umane.
  Nella sua ultima relazione di Presidente, presentata alla Assemblea di La Verna il 04/07/1988, Don Angelo ha ribadito il “let-motiv” di tanti suoi interventi: “Secolarità senza virtù umane rasenta il tentativo di fare acqua senza idrogeno…L'attenzione puntuale e perspicace ai segni dei tempi, voluta dalle Costituzioni del nostro Istituto, che è Istituto secolare di questi tempi, urge inequivocabilmente sulla formazione solida chiara convinta alle virtù umane. Esse, cioè le virtù umane, confessano finalmente alcuni gruppi, sono il fatto profetico degli II. SS., radice e veicolo del dialogo con il mondo, condicio sine qua non per essere secolari. Effettivamente francescanesimo e dialogo, secolarità e virtù umane come fate a separarle?” (8).


Spiritualità della Regalità di Cristo

  “La vita interiore e il servizio pastorale dei membri dell'Istituto prende motivo e animazione dalla teologia della Regalità di Cristo”.
  Questo art. 4 delle nostre Costituzioni sta alla radice della spiritualità specifica dell'Istituto, essendo espressione di quel particolare aspetto del mistero di Cristo e della sequela di Lui che deve caratterizzare la nostra consacrazione secolare. La teologia della Regalità di Cristo, così come viene presentata dai Vangeli e dalle Lettere degli Apostoli, va a braccetto con la teologia della secolarità consacrata. È questo un tema che meriterebbe di essere ulteriormente approfondito, tenendo presenti altri articoli delle Costituzioni, attingendo anche alla teologia francescana e agli scritti di P. Gemelli.


Spiritualità diocesano-francescana

  L'Istituto vuole i suoi membri “fedeli alla spiritualità del presbiterio diocesano” (Cost. art.1, b), presentando come modello di vita secondo il Vangelo San Francesco di Assisi, alla cui spiritualità l'Istituto si ispira” (art.2).
  La proposta di questa simbiosi tra la spiritualità diocesana e la spiritualità francescana, all'inizio è stata motivo di contestazioni ed ha richiesto dei chiarimenti che progressivamente sono venuti alla luce.
  La spiritualità francescana è un elemento originale molto caratterizzante l'Istituto. Ma deve risultare con chiarezza – è stato affermato – che la spiritualità di essenza dell'Istituto è quella sacerdotale diocesana, alimentata dalla francescana. Una spiritualità che, essendo prettamente evangelica, si rivela sempre attuale e universale, per un corretto rapporto dell'uomo con la storia, con il cosmo, con Dio.
  Non bisogna confondere la spiritualità francescana con una certa dipendenza dall'Ordine dei Francescani. Un Padre francescano viene designato come Assistente dei tre Istituti della Regalità, come vincolo di comunione tra essi nello stesso spirito, appunto quale custode della spiritualità francescana. Sono stati successivamente Assistenti i francescani: P. Ferdinando Antonelli che fu poi Cardinale, P. Andrea Mercatali, P. Onorio Pontoglio.
  Il problema della spiritualità francescana si lega ultimamente ad una nuova tematica: la spiritualità del sacerdote diocesano è la “caritas pastoralis” (9).


La spiritualità del gruppo

  La divisione dell'Istituto in gruppi figura già nelle Costituzioni del 1966. Le attuali (art.34) ne tratteggiano le finalità in questi termini: “L'Istituto manifesta e vive in concreto la sua realtà di comunione nel gruppo. Qui i doni che Dio ha dato a ciascuno possono effettivamente tradursi in carità verso la Chiesa locale, il presbiterio, il mondo”.
  Un ideale alla cui realizzazione alcuni hanno apposto, talvolta, un giudizio negativo di merito; per altri, per la partecipazione agli incontri di gruppo, la preferenza data ad impegni pastorali concorrenti, o le distanze da superare per i membri di gruppi non diocesani. Il tema è stato pertanto oggetto sovente di vivaci discussioni. Alla Assemblea generale del 15-16 aprile 1970 a Roma si è osservato: l'Istituto non avrebbe fatto un passo avanti se negli ultimi anni non ci fosse stato un continuo lavoro di ricerca e di vitalizzazione a livello di Gruppi (10).
  Un anno dopo, l'Assemblea dei Responsabili (21-22/04/1971) propone la vita di gruppo come primo porto di approdo e banco di verifica della loro vocazione ai nuovi candidati, secondo la pedagogia evangelica del “vieni e vedi” (11).
  Alla Assemblea generale del 14-17 luglio 1976 a La Verna, don Angelo riconosceva che le difficoltà reali ci sono, ma che le remore psicologiche non mancano. E soggiungeva: “In coscienza devo aggiungere che alcuni rinunciano all'Istituto perché a volte non vi trovano un gruppo ricco di virtù umane e coltivato da incontri periodici organici fedeli” (12).
  Nella sua ultima relazione di Presidente alla Assemblea del 4-7 luglio 1988 a La Verna ha affermato con forza: “Il gruppo è caso serio. È problema di esistenza e di vocazione. Il gruppo prima di tutto è un fatto spirituale, è un luogo teologico dove il dono reciproco anche di umanità, la grazia, la memoria della vocazione specifica, la verifica fraterna dell'iter perfectionis si incontrano e si accolgono, si fanno 'visitazione' e si caricano di letizia insieme a tanta speranza” (13).
  Fa parte della spiritualità dell'Istituto la partecipazione dei Sacerdoti Missionari al corso annuale di esercizi spirituali, “considerato il momento forte della loro vita fraterna, oltreché di conversione personale” (Cost. art.32), da verificare anche sul modulo delle Costituzioni. Dai verbali del Consiglio Direttivo risulta che negli ultimi decenni, fra gli italiani, la media dei non partecipanti è del 35%, dei quali la metà non giustifica l'assenza. Un difetto del clero che si manifesta anche quanto alla partecipazione alle iniziative pastorali diocesane. Mancanza del senso di appartenenza all'unico presbiterio, che nei riguardi dell'Istituto si traduce nella mancanza del senso di appartenenza ad un comune stato di vita.

 

1. A. Gemelli, Gli Insegnamenti del Padre, OR 1959 pag. 61
2. Ut Unum Sint, 1/1973 pag. 54-55
3. Documento d'Archivio
4. Id.
5. Id.
6. Gli Istituti Secolari, CMIS 1999 pag. 192-193
7. Ut Unum Sint, 4/1976 pag. 41
8. Ut Unum Sint, 4-5/1988 pag. 131
9. Ut Unum Sint, 4/1976 pag. 46-47
10. Ut Unum Sint, 6/1973 Numero speciale pag. 50-52
11. Id. pag. 65
12. Ut Unum Sint, 4/1976 pag. 3
13. Ut Unum Sint, 4-5/1988 pag. 134