L'Istituto nel divenire del suo quinto decennio di vita

 
  Non si verifica mai un presente per generazione spontanea: un presente si ricollega sempre ad un passato. Così per la vita dell'Istituto. In questo ultimo capitolo, lo consideriamo nella sua consistenza, sia numerica quanto alla quantità degli aderenti come si è manifestata nel volgere del tempo, sia dinamica quanto alle sue finalità missionarie che oggi lo interpellano.


Numero fluttuante di Sodali

  Nei 32 sacerdoti diocesani che il 4 ottobre 1953 hanno dato inizio alla vita dell'Istituto era rappresentata tutta l'Italia dal Nord al Sud. Nella nostra penisola l'Istituto si è diffuso l'Istituto si è diffuso rapidamente, specialmente nel meridione. Come già è stato rilevato, a otto anni dalla fondazione, i sodali erano già 258.
  Agli inizi degli anni '60, grazie all'interessamento di P. Stefano Hartdegen o.f.m., è entrato nell'Istituto un gruppo di sacerdoti statunitensi, che ha avuto come responsabile Mons. Giuseppe Quiglej, di Philadelphia, il quale ha tradotto le Costituzioni in inglese. Ma quando nel 1968 Mons. Quiglej è tornato al Padre celeste, il Gruppo si sciolse1.
  Nel 1974 avevano bussato alla porta dell'Istituto alcuni preti canadesi, presentati dal Card. Le Roy. Furono accolti tra noi; ma poi da essi si presero le distanze perché le loro intenzioni non apparivano conformi al nostro carisma2.
  Nel 1974 si costituì il Gruppo polacco, di cui è stato iniziatore Giorgio Swinka, perito nel 1993 in un incidente stradale, e che poi si divise in due gruppi (Pelplin e Danzica). Nel 1979, per interessamento del francescano P. Eugen Mederlet, è iniziato a Fulda il Gruppo tedesco. Così il numero dei sodali è salito a 400 circa.
  In seguito, sia per il fenomeno della diminuzione delle vocazioni sacerdotali che affligge tutte le Chiese, sia per il passaggio di sodali al Gruppo celeste (che attualmente con P. Gemelli conta n.120 membri), si è verificata una progressiva flessione, come risulta dal quadro sotto riportato.

Anno Sodali Italiani Polacchi Tedeschi
1988 356 317 32 7
1991 351 318 25 8
1996 297 273 19 5
1999 320 297 19 4


  Dal 1988 al 1999 si è dunque verificata una diminuzione de n.60 sodali, dei quali 44 italiani, 13 polacchi e 3 tedeschi. Questo è dovuto oltreché ai decessi, a qualche abbandono e a dimissioni richieste a membri non adempienti al rinnovo della consacrazione. Negli ultimi 5 anni abbiamo avuto 37 nuove professioni.
  Intanto, si sta ponendo quel problema che si manifesta in tutte le diocesi nei riguardi del proprio clero; l'invecchiamento dei sodali dell'Istituto, e perciò dei gruppi di cui fanno parte.
  Nell'anno 2000 si ha tra i sodali una percentuale del 54% di ultrasessantacinquenni, dei quali il 13% è di ultrasettantacinquenni.
  Da quando è stato documentato appare che la diffusione geografica dell'Istituto oltre i confini italiani è stata molto limitata.
  Alcuni semi del carisma sono stati gettati via via attraverso mani diverse nella Nigeria, nello Zaire, nel Perù; ma non si sono sviluppati3.
  Attualmente qualche speranza sembra affiorare per la Spagna e nel Madagascar.

Problemi emergenti

  Per le sue finalità missionarie l'Istituto è coinvolto in quei problemi emergenti che premono su tutte le Chiese, e dei quali il Sinodo dei Vescovi per l'Europa, conclusosi il 23 ottobre 1999, ha prospettato l'urgenza nel messaggio rivolto ai fedeli4.
  Il nostro continente – hanno affermato i Vescovi – è percorso da una profonda e vasta crisi di speranza, della quale la soluzione è Cristo presente nella Chiesa. Ci sono concreti e tangibili segni di speranza che il messaggio elenca. Ma ci sono anche delle sfide, delle quali i credenti non possono farsi carico.
  Quanto mai insidiosa è la sfida di quella silenziosa apostasia dalla fede cristiana causata dal “secolarismo che contagia una larga fascia di cristiani, i quali abitualmente pensano, decidono e vivono come se Cristo non esistesse”.
  Si aggiunge la sfida del pluralismo etnico, culturale e religioso, da affrontare attraverso “il dialogo rispettoso e maturo con gli appartenenti ad altre religioni” (dialogo ecumenico, dialogo interreligioso, dialogo con i non-credenti).
  Queste sfide, “lungi dallo spegnere la nostra speranza, la rendono più umile e più capace di affidarsi a Dio”.
  Tra i numerosi interventi al Sinodo di carattere pastorale, è stata fatta questa osservazione: “Nella evangelizzazione c'è stata più attenzione alle proprie meditazioni, che non all'azione di Dio”; con questo suggerimento: “essere più audaci nelle proposte, e più modesti nello stabilire gli obiettivi”.


Appelli convergenti

  Tenendo presenti le su accennate sfide, il Sinodo ha lanciato un forte richiamo: “È necessario fare tutti insieme un umile e coraggioso esame di coscienza per riconoscere le nostre paure e i nostri errori, per confessare con sincerità le nostre lentezze, omissioni, infedeltà, colpe”.
  Un richiamo che è in piena convergenza con l'umile confessione che Giovanni Paolo II ha fatto nella bolla di indizione del Giubileo della Incarnazione: “Anche noi, figli della Chiesa, abbiamo peccato e alla Sposa di Cristo è stato impedito di risplendere in tutta la bellezza del suo volto. Il nostro peccato ha ostacolato l'azione dello Spirito nel cuore di tante persone. La nostra poca fede ha fatto cadere nella indifferenza e allontanato molti da un autentico incontro con Cristo”5 .
  Quel “noi”, plurale collettivo, coinvolge i singoli credenti e le istituzioni, e perciò anche il nostro Istituto.
  Una costante revisione di vita, che fa riconoscere infedeltà ritardi e carenze rispetto alla consacrazione professata, non può bloccare la visione di “un futuro pieno di speranza” (Ger. 29,11), secondo quel “Vangelo della Speranza” a cui si è ispirato il Sinodo dei Vescovi europei dell'ottobre 1999. Occorre saper trarre profitto dai peccati nostri e da quelli degli altri, facendoli diventare parte dei nostri intenti di una speranza rinnovata, aperta al progetto divino e alla creatività umana, perché la vera speranza è una speranza storica.
  Riprendiamo il passato in modo da trasformarlo in un nuovo inizio.