Carissimi fratelli e amici,
non so se abbiamo preso tutti consapevolezza che il tempo che stiamo vivendo, con le sue paure e le sue criticità, è in realtà un tempo formidabile di grazia, aperto a straordinarie prospettive di fecondità.Io leggo ciò che sta accadendo come un’azione di forza dello Spirito, che ci sta scuotendo tenacemente e ci sta destrutturando, perché ci convinciamo una buona volta a lasciarci conquistare dai sogni di Dio.Se continuiamo ad indugiare in piccole e meschine visioni terrene, sature di paure, di esitazioni, inclini alle tinte fosche e al pessimismo, meriteremo anche noi di essere definiti, come già fece all’apertura del Concilio san Giovanni XXIII, «profeti di sventure». Noi invece profeti dobbiamo esserlo per natura, perché partecipi della funzione profetica di Cristo, e per vocazione, perché chiamati ad essere apripista del cammino della Chiesa e del mondoverso il futuro, sotto l’azionedello Spirito;e per vivere questa missione dobbiamo lasciarci travolgere come Maria dalla fiducia sconfinata in Dio, perché questo vuol dire essere al servizio del Regno.
Quello che ci è chiesto dunque è dinon esitare a sradicarci dal già sperimentato, che potrebbe rappresentare per noi il pericoloso rifugio in una sicurezza effimera, quella che ci viene dall’esperienza del passato,quasi sempre alternativa alla sicurezza fondata che può venire unicamente da Dio;ci è chiesto il coraggio dei pionieri per avventurarci nel nuovo da scoprire e da costruire, accogliendo di buon grado tutta la fatica che ciò comporta. Se l’espressione non sembra presuntuosa e ardita, direi che a noi è chiesto di essere facilitatori dell’azione dello Spirito.
Credo che nulla più di questa disponibilità può rendere concreta e attuare quella suggestiva immagine con cui san Paolo VI definì gli Istituti Secolari: «laboratorio sperimentale»; sono sicuro che nella mente del Papa l’immagine si applica agli Istituti Secolari in maniera non esclusiva, ma certamente profetica, nel senso che noi siamo chiamati ad essere in qualche modo “cavie” di una disponibilità che lo Spirito chiede a tutti.
Al punto in cui siamo non tutto è ancora ben chiaro di cosa voglia dire essere Chiesa proiettata nel futuro. Alcune percezioni tuttavia appaiono già evidenti:
- anzitutto, si tratta di imparare a camminare insieme: non è più possibile che ognuno continui a procedere da solo e che ogni Comunità possa pensare di vivere indipendentemente dalle altre rinchiusa nel proprio recinto;quando professiamo «credo la Chiesa una», tale unità non può essere solo nella dottrina e nella disciplina, ma deve costituire a livello esistenziale il traguardo prioritario, senza il quale non c’è partecipazione alla vita trinitaria, un traguardo che è fondato sulla grazia di essere in Cristo un solo corpo e che trova il suo dinamismo nell’Eucaristia: il camminare insieme è frutto e conferma dell’efficacia delle nostre Celebrazioni eucaristiche;
allo stesso modo, non è più sostenibile un’idea di Chiesa “clericocentrica”, quando Lumen gentium ci ha fatto riscoprire che l’unica dignità cristiana è quella conferitadal Battesimo, che tutti accomuna, mentre il ministero ordinato è solo un “essere per”, un servizio che serve per edificare e far crescere quella dignità; ciò comporta un nuovo e condiviso senso di corresponsabilità tra chierici e laici;
- in secondo luogo, occorre privilegiare le relazioni rispetto alle attività: la Chiesa non è una società per azioni dove tutto è in funzione di un maggior guadagno, ma è una famiglia, la famiglia di Dio, in cui al primo posto non possono che esserci le persone e le reciproche relazioni improntate a fraternità; dove manca la tensione alla fraternità, subentra il funzionalismo, l’attivismo, la burocrazia, che sono in ultima analisi espressioni di ateismo, perché poggiano sulla presunzione dell’uomo di potersi realizzare da sé, prescindendo da Dio e dagli altri;
- in terzo luogo, ci viene chiesto di essere testimoni luminosi e credibili di gratuità, che rappresenta la cifra visibile e concreta di una vita animata dallo Spirito e che emana profumo trinitario; in concreto ciò comporta lo stare in guardia dal lasciarsi conquistare dal “vile interesse” che spesso si insinua nelle forme più svariate nella nostra vita ministeriale e nella vita delle nostre comunità, trasformandole in mercimonio; penso a proposito non solo alla preoccupazione eccessiva per le cose materiali, ma anche a ogni forma di autoreferenzialità, che fa passare dall’atteggiamento di colui che serve a quello di colui che si serve, in netta opposizione con la logica evangelica espressa dal Battista quando dice: “bisogna che Egli cresca e io diminuisca”; solo attraverso una vita contrassegnata dalla gratuità può passare l’annuncio della vita nuova in Cristo, in cui tutto è grazia.
Il Signore conceda a tutti noi di metterci tutti e in fretta su questo itinerario, con la stessa appassionata frenesia con cui Maria, dopo che l’angelo se ne partì da Lei, si mise in viaggio verso il mondo.
don Giuliano

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